La schedina tra le dita può cambiare la tua vita
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“La schedina tra le dita può cambiare la tua vita….” Sicuramente Toto Cutugno quando cantava queste strofe della famosa canzone “Una domenica italiana” si riferiva esclusivamente ai risvolti positivi che una vincita al Totocalcio, soprattutto se milionaria, può regalare. Soldi a palate, benessere, possibilità di costruirsi un futuro radioso, capacità di esaudire diversi desideri, l’opportunità di togliersi qualche sfizio, una vita da vivere a mille: dietro una vincita milionaria si costruiscono sogni, speranze e certezze di quelle che piombano all’improvviso e che ti danno tutta un’altra prospettiva. Ma può accadere anche il contrario. Può accadere, infatti, che una vincita milionaria al Totocalcio possa sì cambiarti la vita. ma in negativo fino ad arrivare a distruggertela letteralmente. La storia è vera, da raccontare, è diventata anche un libro di Dino Cassone dal titolo “Ho fatto 13” . L’odissea fatta di contenziosi, sentenze, ricorsi, lotte, raggiri, interessi, magagne, illusioni, inseguimenti, attese ad oltranza, è quella che da 34 anni fa vivere in angoscia un commerciante di Martina Franca, Martino Scialpi, che il 1° novembre 1981 realizzò una vincita al Totocalcio di più di un miliardo di lire, senza mai poterla riscuotere perché non risultava prodotta la matrice della sua schedina.
Era il 29 ottobre 1982 quando un commerciante di abbigliamento si trovava a Ginosa per il mercato settimanale. Era un giovedì e come ogni giovedì a Ginosa, verso le nove e mezza arriva un ragazzo, Gigino, una specie di trovarobe, che si prestava ad andare a prendere giornali, sigarette, a giocare al Lotto per i commercianti del mercato. Gigino aveva una particolare predilezione per il mondo del calcio, conosceva benissimo le squadre e riusciva spesso ad azzeccare moltissimi risultati. Quel giorno il commerciante si convinse a farsi giocare una schedina, lui che non giocava quasi mai, da Gigino: 500 lire nel bar “Le Bistrò” di Ginosa. La domenica successiva, quella in cui il Milan perse con il Catanzaro, quella schedina valeva un miliardo di lire. O meglio, non quella domenica, ma il martedì successivo, perché si dovevano aspettare due giorni prima che le quote venissero diffuse. Martino Scialpi pensava che la sua vita sarebbe cambiata in meglio. Non poteva sospettare che in realtà sarebbe cambiata in peggio, che quel pezzetto di carta gli avrebbe causato 33 anni di processi, una separazione dalla moglie e spese per più di quattrocentomila euro. Non lo sapeva quando andò in banca e gli consigliarono di andare direttamente al Coni di Bari. Non lo sapeva mentre andava a Bari, ma incominciò a sospettarlo quando lì gli dissero che la matrice della schedina nel loro armadio blindato non c’era. Mica c’erano i computer come ci sono ora. In quel momento inizia la vera odissea del commerciante. Quella schedina era stata giocata da Gigino, ne era sicuro, in un bar che esisteva che era a Ginosa, quella schedina era stata giocata il giovedì 29 ottobre 1981. Ma per il Coni non era vero. Secondo l’articolo 14 del vecchio regolamento del Totocalcio, il Coni non c’entrava nulla nella vicenda, ma doveva essere risolta tra Scialpi e il ricevitore. Solo che il ricevitore non era autorizzato, ma questo lo scopriranno dopo. Il vincitore, nel frattempo, era accusato paradossalmente di essere un truffatore e andava denunciato. Anzi, fu denunciato per furto aggravato, truffa, falsità materiale e violenza privata. Non solo la schedina era falsa, ma si era appropriato del bollino che la autenticava. Ma il giudice di Taranto, nel 1987, fece terminare il processo in istruttoria, senza neppure arrivare al dibattimento: le accuse erano false, il commerciante fu assolto, la schedina era autentica. Una storia di aule e avvocati, e giudici, e Guardia di Finanza, e Ministeri, e ministeriali. Ma cosa era successo in pratica? Il bar di Ginosa in cui Gigino giocò la famosa schedina n. 625 SA77494 aveva cambiato gestione, l’autorizzazione al gioco del Totocalcio non era ancora arrivata. Ma, probabilmente grazie ad un accordo tra il gestore e i funzionari del Coni, in quella ricevitoria si giocava comunque, solo che le giocate non erano valide. O meglio erano valide ma era come se si giocasse direttamente nella sede centrale di Bari. Il problema era tra Coni e il commerciante: il primo non voleva ammettere che c’erano delle irregolarità nella gestione delle ricevitorie, il secondo invece voleva essere pagato per quel tredici fatto quella domenica di Ognissanti del 1981 in cui il Milan perse tre a zero con il Catanzaro. Il Coni produsse delle carte false. Letteralmente. Nel frattempo l’uomo spendeva denaro, in questa lotta impari tra apparati dello Stato e un singolo cittadino. Si lavorava di meno, impegnato nei processi, e col tempo la situazione in famiglia si aggravava, fino a portare alla separazione dalla moglie. Tutto inizia ad incrinarsi visibilmente nel 1995, quando una sentenza della Cassazione non viene eseguita dalla Corte d’Appello, quando era ormai diventato evidente che si sarebbe fatto di tutto per non darla vinta al piccolo commerciante di Martina Franca. Sarebbe finito tutto allora. Male per l’uomo, bene per il Coni, che era riuscito a coprire le magagne dei suoi funzionari. Se non fosse che il Coni denunciò, ancora una volta il commerciante per truffa. Quindi la giostra si rimise in movimento. Nel frattempo anche un regista si era interessato alla vicenda per farne un documentario, intervistò molte persone, tra cui Gigino e la sua famiglia, ma davanti al rifiuto del Coni si dovette fermare. Sono passati altri anni, finché un giudice del tribunale di Roma, Alfredo Matteo Sacco, il giorno 9 febbraio del 2012, osserva che il vecchio regolamento del Totocalcio era stato scritto per tutelare il Coni e non il giocatore e che quindi, grazie all’assoluzione del 1987, in cui si dimostra che la schedina era vera, non c’era nessun motivo per non pagare la somma, quel miliardo, che oggi vale quasi tre milioni di euro, e che quindi il Coni è tenuto a saldare, perché anche se la sentenza è di primo grado, è esecutiva. Entra in campo prepotentemente l’avv. Guglielmo Boccia che spiega: “C’è un sistema di relazioni, quello attuato dal Coni in oltre trentanni ai danni del commerciante, che i documenti e le procedure testimoniano non essere ispirato in maniera inequivocabile a principi di legalità e trasparenza. A rischio è la credibilità dell’intero Totocalcio. Di fronte al protrarsi di un’ingiustizia così grande come quella che continua ad angosciare il signor Scialpi, sarebbe normale se molti di coloro che ogni settimana giocano la schedina smettessero di farlo. Sono tre – ribadisce Boccia – i punti fondamentali che racchiudono l’intera vicenda processuale del caso Scialpi:
1) La sentenza di assoluzione del Tribunale di Taranto del 1987 in cui si afferma che la schedina non fu smarrita.
2) La seconda sentenza di assoluzione dello stesso Scialpi in sede penale in cui si afferma che non sottrasse la schedina vincente.
3) L’assenza assoluta dei verbali, la cui eventuale consegna alla magistratura spetta al Coni, che potrebbero provare il mancato rinvenimento della matrice della schedina vincente nell’archivio corazzato del Coni di Bari.
L’aspetto secondo noi assolutamente deprecabile è che, pur essendo scaduti tutti i termini per pagare il commerciante dopo avergli inflitto un calvario di anni nelle aule giudiziarie con pesanti ripercussioni nel suo vissuto, il Coni, invece che pagargli il dovuto, continui a nascondersi dietro documenti palesemente falsi e a beneficiare di soluzioni procedurali della magistratura molto discutibili rispetto agli atti». E conclude: «Noi abbiamo comunque fiducia nella magistratura. Perciò ci aspettiamo che essa metta fine a questo reiterato tentativo del Coni di far passare Scialpi, che è parte lesa, in responsabile di qualsivoglia atto illegale. Le sentenze del 1987 e del 1991 hanno stabilito definitivamente che la schedina è autentica, vincente ed esigibile». La difesa fondata dell’avv. Boccia produce un risultato eclatante: pignoramento per 3 milioni di euro ai danni del Coni, spiccioli per una Istituzione di quel calibro ma comunque un risultato importante per una vicenda nazionale che successivamente si arricchisce di un nuovo capitolo. la richiesta di sequestro dei verbali della commissione di zona dell’epoca, l’organo, attraverso cui il Coni verifica le vincite e il Ministero dell’Economia e delle Finanze controlla la corretta attività delle scommesse, che avrebbe dovuto certificare la presenza della matrice e dello spoglio della schedina vincente appartenente al commerciante. Sono questi i verbali che contengono la prova definitiva della vincita, con la matrice della schedina del martinese. Sono verbali che il Coni non ha mai portato in Tribunale per contrapporsi alla richiesta di riscossione della vincita, rispetto alla quale il commerciante ha subito 31 processi, definitivi con sentenza e 15 pendenti, di cui 13 penali e 2 civili. Un calvario giuridico per il commerciante che insegue il suo sogno di giustizia e di vittoria. Un tredici miliardario che gli ha rovinato la vita perché quei 34 anni di penitenza, sofferenza, contraddistinta da una strenua difesa di un principio, di un diritto, non si possono neanche più cancellare e non possono più tornare indietro, soprattutto perché quella vincita, vera e fittizia, presunta e legittima, è servita a farti perdere tutto, compreso gli affetti più cari. Una vincita milionaria che ad oggi rimane ancora una bolla di sapone. Una vincita milionaria che comunque non vale una vita già distrutta comunque vada a finire. Maledetta schedina fra le dita.