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Cultura e Spettacolo

“Valle d’Itria”, si replica il “Don Checco”

Seconda ed ultima replica questa sera, ore 21, atrio del Palazzo Ducale, del Don Checco di Nicola De Giosa, opera buffa in due atti su libretto di Almerindo Spadetta, revisione di Lorenzo Fico. L’opera è una coproduzione tra il Festival della Valle d’Itria e la Fondazione Teatro San Carlo di Napoli. Nicola De Giosa nacque a Bari 3 maggio 1819, a quindici anni, dopo aver preso dal fratello Giuseppe le prime lezioni di flauto, fu mandato a studiare a Napoli al Conservatorio di San Pietro a Maiella. Da quel momento, per quasi quarant’anni, Napoli divenne la sua città e vi trascorse la maggior parte della carriera, non sempre facile, causa i suoi contrasti con Saverio Mercadante. Il suo debutto operistico avvenne con un’opera comica, La casa degli artisti. Avendo trovato un felice filone creativo nell’opera comica, De Giosa continuò producendo ogni anno nuovi titoli tutti ben accolti, sia a Napoli che in altre città. Nel 1850 giunse il culmine del suo successo con il trionfo del Don Checco, rappresentato al Teatro Nuovo di Napoli per 96 sere, e poi replicato in tante città per anni.

Vi fu soltanto un altro episodio nella sua carriera di compositore che sembrava poter riaccendere il successo del Don Checco, dopo oltre venticinque anni, andava in scena la sua opera buffa in tre atti Napoli di carnevale, ma la moda anche nel comico era ormai cambiata da tempo. Restano di De Giosa una quindicina di titoli e alcune partiture di opere non rappresentate. La storia si svolge in un’osteria di campagna all’inizio del 1800, dove avventori e contadini bevono allegramente, mentre Carletto, garzone dell’osteria segretamente innamorato della bella Fiorina, figlia dell’oste, serve ai tavoli. Roberto, un pittore dipinge in un angolo. Bartolaccio s’accorge che sua figlia Fiorina civetta coi bevitori intenti a corteggiarla, e caccia la figlia e allontana gli avventori. Bartolaccio si scaglia anche contro Carletto che fa cadere alcuni bicchieri e l’oste lo licenzia. Rimasto solo con il pittore, Bartolaccio racconta di come sia costretto a versare un forte tributo al Conte de’ Ridolfi che s’aggira spesso tra le sue proprietà in incognito per elargire premi e punizioni. Rimasti soli, Fiorina e Carletto possono finalmente dichiararsi reciproco amore, Bartolaccio li sorprende e Carletto è costretto ad allontanarsi. Giunge Don Checco, uno squattrinato che sta cercando di sfuggire all’esattore del Conte. Bartolaccio crede di scorgere nel nuovo avventore il Conte sotto false vesti, inizia a servirlo e riverirlo e corre in paese a diffondere la notizia. Don Checco sta al gioco alimentando una serie di equivoci, ma si affaccia all’osteria Succhiello, il vero esattore. Bartolaccio si rende conto di essere stato ingannato e tutti restano delusi quando Bartolaccio svela loro la vera identità di Don Checco. Un messo inviato dal Conte fa recapitare un messaggio per Succhiello: egli rinuncia al credito nei confronti di don Checco e dell’oste e consacra il matrimonio dei due giovani con una cospicua dote. Nell’incredulità generale, finalmente si svela il mistero: il pittore Roberto non era che il Conte, ma sotto false vesti.

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