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Guerra e Pace

Questo Festival ripudia la guerra!

Questa l’affermazione con cui si concludono i saluti iniziali, questa la convinzione che muove la scelta di tutto ciò che in questa edizione andrà in scena. Questo il grido sussurrato così forte da raggiungere tutti coloro che purtroppo stanno subendo tanta atrocità e anche chi, di tanto male è l’artefice.

Con Tancredi ha inizio la 51esima edizione del Festival della Valle d’Itria, 180 minuti del melodramma eroico in due atti, su libretto di Gaetano Rossi e musica di Rossini.

“La passione d’amore che inebria i giovani protagonisti è tanto smisurata e totalizzante da impedir loro comportamenti di normale sensatezza […] Ma è proprio questa insensatezza a farci capire le incommensurabilità di sentimenti sospinti oltre i confini della ragione. Da questa macroscopica deformazione nasce la funerea poesia di un rapporto sublime e distruttivo, che accende l’illusione di una felicità paradisiaca nel momento stesso in cui nega la possibilità di realizzarla. I dialoghi di Tancredi hanno sapore amaro e desolato. Tancredi e Amenaide vivono una storia distaccata da quella degli altri personaggi e sono mossi da una logica che contrasta con la realtà che li circonda”. Queste parole di Alberto Zedda sintetizzano e aiutano a comprendere al meglio l’opera alla quale hanno assistito i numerosissimi spettatori presenti alla prima.

Un pubblico, come sempre, elegante, attento e interessato, ha percorso il red carpet ed è stato accolto all’ingresso dal sindaco Gianfranco Palmisano, dal presidente Michele Punzi e rispettive signore, dalla nuova direttrice artistica Silvia Colasanti. Tre donne che per l’occasione hanno scelto un outfit sobrio, chic nell’assoluta semplicità, abbracciando la filosofia di stile dell’indimenticata Coco Chanel.

Foto Paolo Conserva

Tornando al nostro Tancredi, Zedda ricorda che “quando Luigi Lechi convinse Rossini a concludere l’opera con la morte del protagonista, come nel Tancredi di Voltaire, da cui il soggetto deriva, in quel leggendario finale tragico eseguito una sola vota a Ferrara nel 1813, compie un’operazione intellettualmente ineccepibile, ma con quel gesto sensato contraddice il senso recondito di un sogno, e ne turba il fascino morboso. Rossini risponde all’invito da par suo […]. Con l’infallibile senso del teatrante egli avverte, però, che questa immagine concreta, questa logica conclusione viene a scontrarsi con l’alone misterioso che confonde l’agire dei suoi innamorati e a posteriori la rifiuta per ritornare a quel finale lieto che, proprio per l’evidente assurdità, suona come il rasserenante risveglio da un incubo”

I due finali, proposti dal regista Andrea Bernard, hanno accontentato Lechi e Rossini, forse non tutti i presenti che all’uscita commentavano che un solo finale sarebbe stato meglio, non sappiamo se solo per ridurre la durata dell’opera o per una scelta artisticamente ponderata e motivata.

La presenza del coro sulla scena è stata apprezzata da tutti ed è stata sicuramente un valore aggiunto.

Ottima partenza per la 51esima edizione del Festival della Valle d’Itria, un lungo applauso ha salutato tutti i protagonisti dell’opera, un riconoscimento più sentito per le due interpreti principali, per loro che hanno ben compreso che “il fascino del loro amore risiede proprio nella malinconia della sua tragica impossibilità”.

Foto di Clarissa Lapolla

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